di Tommaso Gaglia
Il record della siccità da due secoli e mezzo: su Torino 4 millimetri di pioggia.
Così titolava il noto giornale torinese “la Stampa”, sebbene le conseguenze per la salubrità dell’aria siano negative, questo periodo caratterizzato di alta pressione stabile con giornate fredde e soleggiate, rende le condizioni perfette per le immersioni nei grandi laghi.
L’appuntamento di oggi è con la parete sommersa adiacente la galleria che collega Laveno con Castelveccana, sulla sponda orientale del lago Maggiore.
La parete, lunga circa due chilometri, inizia prima della galleria e termina nella sua parte più a nord con il famoso “Sasso Galletto”. Questo sperone roccioso ben visibile percorrendo la statale, quando si è all’interno della galleria, viene chiamato così proprio perché in cima vi è un oggetto metallico raffigurante un galletto.
Il tipo di fondale offre molti punti suggestivi di particolare interesse: pareti, grossi massi, canaloni, franate, nonché macchine, scivoli e carrelli utilizzati probabilmente per scavare la galleria.
COME ARRIVARE:
Giunti a Laveno, comune della provincia di Varese sulle rive del lago Maggiore, proseguire per Castelveccana, direzione nord verso Luino sulla strada provinciale n°69. La strada costeggia il lago, si entra in una lunga galleria, dopo circa 1 km sulla sinistra si vede un piccolo parcheggio in ghiaia (vedi foto). Parcheggiare lì. Camminando sul marciapiede della galleria in direzione nord verso Castelveccana, dopo circa 20 metri si nota, sulla sinistra oltre il parapetto, un sentiero che in pochi passi porta al lago. Si entra da una spiaggetta in ciottoli.
L’IMMERSIONE.
Sono circa le dieci del mattino quando scendiamo dalle nostre auto nel piccolo posteggio a lato della galleria, la temperatura esterna è di pochi gradi sotto lo zero e la giornata è soleggiata. Complice l’adrenalina e l’aria frizzante ci mettiamo subito in movimento per portare le bombole in riva al lago: il tragitto è breve ma abbastanza ripido, qualche subacqueo filantropo ha attrezzato il percorso con un corrimano ed una scaletta per agevolare il percorso. Decidiamo che la nostra meta principale sarà la ruspa che giace a circa 40 mt di profondità per poi ammirare le pareti di calcare bianchissimo che partono dalla batimetrica di circa trenta metri. Controlli pre-immersione e si scende! Ci troviamo in un magnifico anfiteatro, le pareti che ci attorniano sono praticamente verticali e ci accompagnano fino a circa venti metri di profondità. La visibilità è eccezionale, arriva fino a 30mt. Siamo in tre e decidiamo di disporci affiancati per meglio comunicare. Appena messa la testa sott’acqua un branco di persici ci dà il benvenuto e, indicandoci la via, ci invita a scendere di quota. Raggiungiamo subito la batimetrica dei quaranta metri e, procedendo verso sud tenendo la franata di sabbia alla nostra sinistra, dopo qualche minuto di pinneggiata vediamo la ruspa. E’ una ruspa gialla, di quelle tipicamente usate nei cantieri edili, appoggiata sul lato destro. I cingoli del lato sinistro emergono dal fango mostrandosi a tutta lunghezza. La postazione di guida è intatta così come i comandi e gli strumenti. Davanti è ancora agganciata la pala idraulica, è ipotizzabile che la ruspa sia caduta durante una normale giornata di lavoro. Ammirata la ruspa decidiamo di risalire qualche metro e continuare la nostra esplorazione verso sud, la parete è verticale, bianchissima. Proseguiamo lungo la parete in fila indiana, mantenendo la comunicazione con le torce, Umberto apre la fila, io in mezzo e Claudio chiude. Dopo qualche minuto di pinneggiate, decidiamo che è ora di rientrare. Ci alziamo leggermente di quota per avere una visione più globale delle pareti e, grazie all’illuminazione delle torce, notiamo in lontananza che dal buio emerge la sagoma di una macchina, si tratta di una Renault 4 sicuramente uscita di strada dalla galleria soprastante.
L’auto è intatta, solo il cofano non è più al suo posto e giace qualche metro più in profondità. E’ presente una sagola che va verso il largo, pensiamo colleghi la Renault con la ruspa dove ne abbiamo vista una molto simile legata alla pala meccanica. Le pareti continuano a ad ammaliarci, complice la straordinaria visibilità le vediamo in tutta la loro altezza, dai trenta metri di profondità arrivano fino in superfice. Ormai il tempo è finito e il gas sta arrivando al minimo pianificato per la risalita, con calma ritorniamo all’anfiteatro in cui ci siamo immersi. Smaltire la decompressione accumulata in un posto così bello è parte del piacere dell’immersione, notiamo che qualcuno ha posizionato un corpo morto al centro dell’anfiteatro roccioso collegandolo alla superfice dove una boa ne segna la posizione. Dopo aver passato un’ora in acqua a sette gradi, uscire e trovare una temperatura al di sotto dello zero ci fa subito venir voglia di scendere di nuovo …